La quaglia e la rosa
PAROLE > favole
Con un colpo del becco la quaglia uscì dal guscio e vide la coda della quaglia-madre: tagliata verticalmente a ventaglio, le penne lunghe e marroni, si stendeva davanti a lei riparandola dal sole.
Poco più in là c'era un ciliegio, dietro il ciliegio scorreva un ruscello: e all'improvviso, fra il sussurro dell'acqua, la quaglia udì una voce che diceva: "Se ti dovessi descrivere tutte le bellezze della Terra, dovrei restar qui fino alla fine dei miei giorni, ma sono un uccello di passaggio e perciò ti dico addio!" A queste parole la coda della quaglia-madre vibrò, si scosse, e mentre si sollevava dietro all'uccello di passaggio, un raggio di sole saettò davanti agli occhi della quaglia appena nata, che li chiuse abbagliata. Quando li riaprì vide i quagliotti che uscivano dai gusci spezzati. "Fratelli e sorelle!" allora disse, "nostra madre è andata a vedere le bellezze della Terra e, siccome son nata io per prima, sarò la vostra madre adottiva."
Da quel giorno non li perse di vista un momento: e guardali oggi, guardali domani, i quagliotti crebbero sani e robusti. E una mattina le dissero: "Addio! Andiamo anche noi a vedere le bellezze della Terra..." Lei li guardò allontanarsi, e non erano ancora scomparsi dietro il ciliegio, che già le quaglie-madri la circondavano accarezzandole, affettuose, le piume del petto. "Ora che non hai più nulla da fare ti sentirai sola" dicevano. "Perché non ci aiuti a badare alle covate e alle quaglie inferme? Ti ricompenseremo con favori che nemmeno immagini, e sarai amata e rispettata."
La quaglia ci pensò su un momento, poi allargando cordialmente le ali, "Perché no?" rispose.
Così riprese il suo ruolo di madre-adottiva e per un certo tempo fu davvero amata e rispettata. Poi le cose cambiarono. Approfittando della sua disponibilità, le quaglie se la disputavano a colpi d'ala e di becco. Lei cercava di accontentare un po' tutte: un giorno da una, una sera da un'altra, ma non potendo dividersi in tanti pezzettini, alla fine fu costretta a fare delle scelte: e non fu più amata né rispettata.
A questo punto cosa avrebbe fatto una quaglia qualsiasi? Se ne sarebbe andata anche lei a vedere le bellezze della Terra piantando tutti in asso; ma non lei. A differenza della quaglia-madre, irrequieta e curiosa, avventurosa e intraprendente, lei aveva un carattere tranquillo, e l'abitudine di fare ogni giorno le stesse cose le dava un senso di stabilità e sicurezza. Così rimase. Continuò ad assistere covate e quaglie inferme, e tutto faceva prevedere che la sua vita sarebbe andata avanti senza cambiamenti, invece no!
Il cambiamento avvenne in una sera d'estate. L'aria era tiepida - era caduta da poco una pioggia sottile - e la quaglia sorvolava una radura, quando scorse una penna che galleggiava in una pozzanghera. Calò giù ed ebbe una stretta al cuore. Aveva riconosciuto la penna come sua, e ancora prima di guardarsi riflessa sulla pozzanghera si rese conto d'essere diventata una vecchia quaglia; scivolò allora nella cavità di una quercia e là rimase, smarrita, le ali strette contro il corpo.
Poi, all'improvviso, spiccò il volo. Attraversò la radura, oltrepassò il ruscello, e girando attorno al ciliegio giunse nel sentiero dove era nata e aveva vissuto con i quagliotti fratelli e sorelle. "Perché ve ne siete andati?" mormorò posandosi sul ramo di un cespuglio. "Adesso mi trovo come una madre senza figli, come un'amica senza amici..."
Riprese a volare, e mentre passava sopra un monticello coperto di fiori ripensò a una certa sera d'inverno. La neve cadeva, imbiancando il monticello, quando scorse fra i fiocchi un quagliotto morto. Se lo era tenuto stretto fra le ali durante la notte per non lasciarlo solo, e all'alba lo aveva nascosto sotto la neve assicurandolo che, ben presto, la primavera lo avrebbe coperto d'erbe e di fiori profumati.
Continuò a volare, assorta nei ricordi, finché s'accorse di trovarsi nel posto dove le covate erano più numerose. Allora entra in una, e subito ne esce, entra in un'altra ed è di nuovo fuori, poi entra in altre, in altre, in altre ripetendo sempre: "Mi volete bene?" L'oscurità era calata ormai del tutto, non si vedeva più un uccello in giro, solo la quaglia continuava a volare in cerca di un gesto o di uno sguardo d'affetto. Aveva ripreso a piovere, era la stessa pioggia sottile del pomeriggio, ma lei non la avvertiva perché aveva le piume del petto bagnate di lacrime. Accelerò a una svolta e, mentre entrava in un sentiero, avvertì una trafittura al petto, e stava per cadere priva di sensi, quando un soffio l'avvolse sollevandola in regni di profumo: poi, improvvisamente com'era venuto, il soffio profumato svanì.
Da quel momento la quaglia non fu più la stessa, la sua vita cambiò del tutto: smise di assistere covate e quaglie inferme, a nulla valsero preghiere e minacce. Ora nel suo cuore c'era solo quel soffio profumato. All'imbrunire andava sul sentiero ad aspettarlo e una sera, mentre se ne stava là, addossata a un cespuglio, avvertì un profumo che si avvicinava. Gli volò incontro. Calò giù delusa. Il soffio la vide e si fermò.
"Che fa qui?" le chiese.
"Aspetto un soffio profumato" rispose la quaglia.
"Di quale fiore? Io sono profumato di lillà."
"Non conosco il nome dei fiori" confessò la quaglia. "Una volta, qui, ho sentito quel profumo e aspetto che ritorni."
"Non tornerà. Noi soffi voliamo sempre sopra posti diversi."
"Allora dove andrò a cercarlo?" gridò la quaglia, agitata, sbattendo le ali.
"Nei Giardini dell'Universo" la tranquillizzò il soffio di lillà. "Laggiù ci sono tutte le varietà dei fiori esistenti, ma ti sarà difficile riconoscere il profumo che cerchi, perché si confonde nell'aria con quello degli altri fiori."
"Lo riconoscerò perché lo amo" disse la quaglia.
"Allora vieni!"
Il soffio di lillà scivolò sotto il petto della quaglia e la sollevò con sé sopra gli arbusti. Sorvolarono radure e sentieri, torrenti e ruscelli, alture e colline, boschi e foreste, mari calmi e tempestosi finché una sera, entrando in un boschetto di salici bianchi, il soffio di lillà depose la quaglia sopra due rami incrociati. "Di qua son già passato, addio!" la salutò, e serpeggiando fra i rami deviò verso un altipiano.
"E io dove vado? Da che parte volo?" gli gridò dietro la quaglia.
"Sempre diritto" rispose il soffio di lillà, girandosi verso di lei con una curva. "Solo volando sempre diritto si ritrova quello che si ama."
Così la quaglia riprese da sola il viaggio verso i Giardini dell'Universo. Procedeva guardando diritto davanti a sé, la testa inclinata da un lato per non perdere di vista la giusta direzione, e volando volando attraversò altre radure e sentieri, torrenti e ruscelli, alture e colline, boschi e foreste, mari calmi e tempestosi. Quanto tempo durò quel viaggio e quante altre penne si staccarono dalle sue ali scolorite? Da quando era partita non aveva più pensato al posto dove era nata e alle quaglie e ai quagliotti rimasti là. Ma un giorno, mentre attraversava un mare e guardava un pescevolante che emergeva dalle onde nell'aria libera, ripensò a un quagliotto particolarmente curioso: quando qualcosa lo stupiva apriva il becco in modo smisurato, e per richiuderlo doveva sbatterlo contro un tronco. E aveva pensato: "Se quel quagliotto vedesse questo pesce che vola, certamente spalancherebbe il becco, ma poi come farebbe a richiuderlo? Non c'è nemmeno un piccolo scoglio in vista..."
Dopo il mare c'era la spiaggia, dopo la spiaggia cominciava una foresta: era coperta di alberi d'ogni specie, e appena la quaglia vi entrò l'avvolse un turbine fatato. Pivieri dorati, grifoni, piccioni rosa, tamarini, pernici rosse, gufi bianchi, zigoli gialli, uccelli-danzatori, pavoncelle combattenti la sospingevano a colpi d'ala verso l'interno. Sulla cima spezzata di un elce, due gru si accarezzavano con le ali, appese ai rami degli alberi scimmie-scoiattolo si lanciavano in volo sopra le cime, un gatto-pescatore attraversava a nuoto un corso d'acqua. A un fruscio di foglie, la quaglia girò la testa: un cervo e una gazzella uscivano correndo da un mucchio di arbusti, li seguì, e abbassandosi sopra loro le riuscì di distinguere la diversità delle loro impronte sull'erba. Li perse di vista entrando in uno spiazzo di felci, ma imparò a fischiare soffiando fra le foglie, e soffiava ancora quando si trovò fra i rami di un immenso leccio.
Era il leccio più bello che si fosse mai visto: i rami erano coperti di nidi d'uccelli, ma più che vederli ne avvertiva la presenza da certi mormorii, respiri e sospiri. La quaglia alzò la testa: intravvide la punta di un'ala, un becco che si ritraeva... Poi successe tutto molto in fretta: un tordo dorato cominciò a cantare, e in un momento il leccio si riempì di musica come il cielo di stelle. Su quel canto la quaglia riprese a volare: e via via che procedeva avvertiva nell'aria il passaggio di profumi sempre diversi, profumi di viole, mimose, tuberose, gigli, giacinti, narcisi, gelsomini... Ma fu solo quando s'aggrappò ai rami di un roseto, già immersa in una successione di petali, che dilagavano col loro splendore da un pallido rosa a un rosa corallo, da un rosso geraneo a un cremisi vivo, che si rese conto di trovarsi nei Giardini dell'Universo. Allargò le ali; poi le richiuse adagio, per trattenere l'amato e finalmente ritrovato profumo, quindi alzò la testa: il sole tramontava arrossando le nuvole. "I rami si sono allungati e sono fioriti in cielo" si disse, riabbassando la testa. Sussultò sorpresa: al di là del roseto c'era il posto dove era nata e aveva vissuto con i quagliotti fratelli e sorelle: c'era la radura, c'era il ruscello, il ciliegio, il monticello coperto di fiori e tutto era come lo aveva lasciato. Allora si disse: "Per ritrovare quello che si ama, non basta volare sempre diritto ma si deve custodirlo nel cuore fra i battiti e i sospiri." Qualcosa le solleticava una zampa, abbassò gli occhi: un bocciolo si apriva, diventava una rosa color papavero. Sì, ora si sentiva felice, il cuore in festa, gridò: "Lo so di non avere una bella voce, ma adesso mi metto a cantare!"
Referenza iconografica: a mano in varie copie è segnalato il dettaglio della quaglia, da La Madonna della Quaglia di Pisanello.
Fra le varie copie del testo, una riporta, come nota manoscritta, la seguente dedica:
A Liliana con riconoscenza e affetto Giovanna Santo Stefano